LEOPOLDO TARTARINI & LA NASCITA DI ITALJET

ItaljetLa storia di inizia a Bologna con Leopoldo “Poldino” Tartarini, nato il 10 agosto 1932 in un mondo già plasmato da olio motore, acciaio e velocità. Suo padre, Egisto, era un rispettato concessionario di motociclette e pilota, il tipo di uomo che poteva mettere a punto un motore al mattino e portare un sidecar Moto Guzzi alla vittoria il pomeriggio stesso. Crescendo in quell'atmosfera, era inevitabile che il giovane Leopoldo ereditasse la passione per le due ruote. A soli quattro anni, guidava già un mini sidecar personalizzato costruito da suo padre per poter viaggiare insieme alle sue sorelle.

Dopo la guerra, Leopoldo iniziò a studiare Architettura a Firenze, ma il destino aveva altri piani. La morte del padre, in seguito alle ferite riportate in una gara, lo riportò a Bologna, al mondo delle motociclette e, infine, sulla strada che avrebbe segnato la sua vita.

Da questa miscela di talento, tragedia, creatività e passione inarrestabile, Italjet è natoUn marchio nato non per seguire le tendenze, ma per sfidarle. Un marchio che ha sempre creduto nell'ingegneria con carattere, nel design con personalità e nelle motociclette con un'anima.

E oggi, decenni dopo, Italjet rimane orgogliosamente nelle mani della famiglia fondatriceL'azienda è ora guidata da Massimo Tartarini, che continua la visione del padre con lo stesso spirito ribelle, fondendo l'eredità italiana con l'innovazione audace e plasmando il futuro di Italjet per una nuova generazione di motociclisti in tutto il mondo.

LA PRIMA GRANDE VITTORIA

Nei primi anni '50, il Milano-Taranto Era più di una gara, era una leggenda. Ogni motociclista italiano sognava di conquistarla, e Leopoldo Tartarini non faceva eccezione. Facendo tesoro di tutto ciò che aveva imparato dal padre, partecipò all'edizione del 1952 con un sidecar da lui stesso costruito.elf attorno a un motore BSA di seconda mano.

Sulla linea di partenza, i concorrenti ridevano. La sua moto sembrava anticonvenzionale, improvvisata, persino inadatta a un evento così estenuante. Ma Tartarini aveva qualcosa di molto più importante dell'apparenza, dell'ingegno, della determinazione e di una comprensione istintiva di come una motocicletta dovesse muoversi, respirare e sopravvivere.

Cavalcando accanto al suo fidato compagno Sergio Calza, il giovane Tartarini sbalordì l'intero gruppo. Nella sua prima gara motociclistica ufficiale, non solo finì, ma ha vinto la sua categoria, battendo piloti con molta più esperienza e macchinari molto più prestigiosi.

Fu un momento che segnò il vero inizio dell'avventura, rivelando lo spirito che un giorno avrebbe definito Italjet: pensiero non convenzionale, innovazione coraggiosa e rifiuto di essere sottovalutati.

UNA NAZIONE SU DUE RUOTE

Erano gli anni della rinascita economica dell'Italia, un periodo in cui il Paese si stava ricostruendo, sognando e affamato di libertà. Per un'intera generazione, il simbolo di quella libertà è stata la motocicletta. Non un mezzo grande e potente, ma l'umile 125cc o 175cc: conveniente, pratico e capace di trasformare la vita quotidiana.

Durante la settimana, queste motociclette leggere accompagnavano i giovani italiani al lavoro. La domenica, le stesse moto si schieravano alle gare locali, trasformando semplici motociclisti in eroi della loro città. La motocicletta non era solo un mezzo di trasporto, ma anche identità, mobilità e una porta verso nuove possibilità.

Con così tante persone che trascorrono la loro vita su queste moto leggere, era naturale che questa passione si trasformasse in una grande cultura sportiva nazionale, un movimento che celebrava sia le motociclette sia i piloti che le spingevano al limite.

L'ASCESA DI UN CAMPIONE

Nel 1953 il MotoGiro d'Italia è stato creato a Bologna dal quotidiano StadioLeopoldo Tartarini, ormai completamente impegnato nelle corse, partecipò all'evento su una Benelli 125 da lui preparataelfLa gara di sei giorni spinse al limite sia i piloti che le moto, ma Tartarini non si scompose. Vinse la classifica generale, piazzandosi davanti ai concorrenti con moto più grandi e potenti.

La vittoria ebbe ancora più peso perché avvenne nella sua città natale. Solo poche settimane dopo tornò a gareggiare per la Milano-Taranto, ancora una volta in sella a una Benelli 125 ufficiale. Ha conquistato un'altra vittoria di classe, confermandosi uno degli astri nascenti di Bologna.

Ora la città aveva un cavaliere da festeggiare con orgoglio.

SUCCESSO IN PISTA E NEGLI AFFARI

Fuori dalle corse, Tartarini rafforzò i suoi legami commerciali con Benelli aprendo la concessionaria ufficiale Benelli per Bologna in Porta Mazzini. La sua presenza in pista rimase altrettanto forte. Nella seconda edizione del Giro d'Italia gareggiò ancora una volta in sella alla Benelli 125, vincendo la sua categoria e classificandosi secondo assoluto. I suoi risultati lo resero uno dei corridori più riconosciuti e ammirati d'Italia.

Alla successiva Milano-Taranto, affrontò un'esperienza diversa. Per la prima volta, problemi meccanici lo costrinsero al ritiro nelle prime fasi. Fu un promemoria del fatto che anche i migliori corridori e le migliori moto affrontano momenti che mettono alla prova la loro determinazione.

GLI ANNI DUCATI E UNA SVOLTA

Nel 1955, all'apice della sua popolarità, Tartarini fece un passo fondamentale nella sua carriera diventando pilota ufficiale e capitano della squadra corse Ducati. Per un pilota bolognese, entrare in Ducati era a dir poco un sogno. La casa gli affidò le migliori moto sviluppate dal suo reparto corse e le aspettative erano alte.

Partecipò al MotoGiro d'Italia in sella alla Ducati 100, meglio conosciuta come "Marianna". Mentre era in testa alla classifica provvisoria durante la settima tappa, un incidente lo costrinse al ritiro. Le ferite riportate furono così gravi da impedirgli di partecipare alla Milano-Taranto di quell'anno.

Nel frattempo, anche la sua concessionaria si evolveva. L'insegna Benelli venne rimossa e sostituita dal marchio Ducati che ora rappresentava.

Alimentato dalla determinazione, tornò alle competizioni l'anno successivo e assunse subito il comando del MotoGiro con la Ducati 125. Il destino intervenne ancora una volta. Nella sesta tappa subì un altro violento incidente, precipitando da un terrapieno e riportando ferite che posero fine alla sua stagione agonistica. I medici ipotizzarono persino che non avrebbe mai più camminato.

Mesi dopo, le sue condizioni migliorarono e la guarigione iniziò lentamente, ma questo periodo segnò una svolta. Le battute d'arresto lo avrebbero guidato verso un nuovo capitolo che avrebbe plasmato il futuro del motociclismo italiano.

LA FINE DI UN'ERA E L'INIZIO DI UNA NUOVA VISIONE

Nel 1957 Tartarini partecipò al suo ultimo Giro d'Italia, questa volta gareggiando nella classe 175. Ancora una volta la fortuna non fu dalla sua parte e fu costretto al ritiro durante la terza tappa. Solo pochi mesi dopo, le corse su strada in tutta Italia terminarono bruscamente a causa di un tragico incidente alla Mille Miglia. Con l'abolizione di queste manifestazioni, Tartarini si ritrovò improvvisamente...elf senza la carriera agonistica che aveva caratterizzato la sua vita.

Tuttavia, questo non gli ha impedito di cercare nuove sfide sulle due ruote. Ancora sotto contratto con Ducati, ha voluto onorare quell'impegno in modo significativo. Insieme al suo caro amico Giorgio Monetti, si mise in testa di tentare qualcosa che nessun italiano aveva mai fatto prima: un viaggio in motocicletta intorno al mondo intero.

Questa decisione ha segnato l'inizio di un nuovo straordinario capitolo che avrebbe influenzato la creazione di Italjet suoelf.

IL GIRO DEL MONDO E UN NUOVO DESTINO

Ducati accolse con entusiasmo l'idea, riconoscendo l'enorme risonanza che una simile spedizione avrebbe potuto generare. L'azienda fornì due Ducati 175 e offrì il suo pieno supporto. Il 30 settembre i due piloti partirono da Bologna, acclamati dalla folla di cittadini e ricevendo persino la benedizione del Cardinale Lercaro, Vescovo di Bologna.

Quello che seguì fu quasi un anno di avventure attraverso i continenti. Durante il loro viaggio, Tartarini e Monetti incontrarono sfide, pericoli e momenti indimenticabili. Documentarono tutto in una serie di lettere che vennero regolarmente pubblicate dalla stampa specializzata, catturando l'immaginazione dei motociclisti italiani e generando attenzione a livello nazionale.

Il 5 settembre 1958 tornarono a Bologna accolti da un'accoglienza trionfale. Tartarini, già considerato il motociclista di punta di Bologna e uno dei più celebrati d'Italia, sapeva che era giunto il momento di trasformare la sua reputazione in qualcosa di più grande.

L'idea prese forma in modo chiaro. Era giunto il momento per lui di diventare un costruttore di motociclette e dare vita alla sua visione.

LA FONDAZIONE DI UN NUOVO MARCHIO

Nel corso del 1959 Tartarini perfezionò la sua idea, si assicurò i necessari rapporti commerciali e gettò le basi per la sua azienda. Il progetto divenne ufficiale il 4 febbraio 1960, quando Italemmezeta fu fondata a Bologna con lo scopo dichiarato di “costruire ed importare motocicli e ciclomotori”.

La prima officina operativa fu allestita in un seminterrato di Via del Piombo, mentre la sede legale e amministrativa era in Via Ugo Bassi. Fin dall'inizio, l'azienda si concentrò sulla costruzione di motociclette proprie, anziché sull'importazione di motociclette complete. Le prime creazioni di Italemmezeta utilizzavano motori da 125 cc forniti dalla casa automobilistica della Germania Est. MZ (Motorradwerke Zschopau), segnando l'inizio di un percorso ingegneristico indipendente che presto si sarebbe evoluto in Italjet identità.

UN APPROCCIO SENZA PAURA ALL'INDUSTRIA E ALL'INNOVAZIONE

Fin dall'inizio, fu chiaro che Tartarini non aveva alcuna intenzione di seguire la solita strada. La sua reputazione di pilota e la sicurezza acquisita con il suo World Tour gli conferivano un'audacia che pochi nel settore possedevano. In un'epoca in cui la Germania dell'Est era sigillata dietro la cortina di ferro, fece ciò che sembrava impensabile e aprì trattative commerciali dirette con MZ.

La cosa straordinaria non fu che chiese, ma che ci riuscì. Fu la prima di diverse occasioni in cui Tartarini riuscì a ottenere accordi con costruttori che non avevano mai preso in considerazione la fornitura di motori o componenti a società esterne. La sua determinazione, unita alla sua credibilità personale, gli aprì porte che erano precluse a quasi tutti gli altri.

Nonostante questi successi, il suo piano per l'azienda era misurato. Per i primi due decenni, intendeva che Italemmezeta rimanesse un "semi-costruttore", assemblando motociclette utilizzando affidabili motori esterni. Il primo motore completamente marchiato e prodotto con il suo nome non sarebbe arrivato prima del 1980, ma le basi dell'innovazione e dell'indipendenza erano già saldamente gettate.

LA NASCITA DEL ITALJET IDENTITÀ

Fin dall'inizio Tartarini introdusse una caratteristica che avrebbe definito ogni futuro Italjet Creazione: la volontà di innovare sia nel design che nell'atteggiamento. Anche piccole scelte stilistiche venivano utilizzate per spingersi oltre gli standard consolidati del mercato motociclistico. Questo approccio produsse il primo grande successo dell'azienda nel 1962.

Era un ciclomotore sportivo e giovanile, con un nome che non avrebbe potuto essere più appropriato: ItaljetLa verniciatura metallizzata bicolore richiamava i colori utilizzati sulle Ducati 125 e 200, posizionando visivamente il nuovo modello accanto a loro come una sorta di "sorella minore". Già in questa fase iniziale, Tartarini dimostrò il suo istinto nel fondere gli elementi più desiderabili delle moto di punta in qualcosa di accessibile anche ai motociclisti più giovani.

Nel 1964 il Mustang La serie fu introdotta con la Mustang SS. Il suo impatto fu immediato. Nonostante le dimensioni ridotte, la moto presentava uno straordinario livello di innovazione. Presentava un telaio a doppia culla rialzata mai visto prima su un ciclomotore, un grande serbatoio del carburante con due tappi (uno dei quali ospitava intelligentemente il tachimetro), una sella leggera brevettata dal profilo audace e un manubrio basso e sportivo. Il componente di spicco era il freno anteriore: un sistema a doppia piastra ventilata con quattro ganasce, un design degno delle moto da competizione e uno stile che si abbinava al suo carattere racing.

Questo carattere estremo in una macchina così semplice rese la Mustang SS indimenticabile per i giovani dell'epoca. Il telaio a doppia culla rialzata fu una vera novità e in seguito ispirò persino Moto Guzzi, una delle case automobilistiche italiane più prestigiose. Con l'evoluzione del modello, il serbatoio e la sella furono ridisegnati per... Mustang Veloce, caratterizzato da una forma che richiamava la popolare serie Aermacchi Ala, che dominava sia la scena stradale che quella delle corse.

Ancora una volta Tartarini ha usato lo stile per alimentare l'aspirazione. La gamma Mustang ha offerto ai quattordicenni una moto che riecheggiava l'aspetto e lo spirito delle motociclette più grandi possedute dai loro fratelli maggiori o dagli amici ammirati. È stata una mossa intelligente e deliberata che ha rafforzato Italjetil suo fascino e ha contribuito a plasmare la sua leggenda iniziale.

ESPANSIONE E VISIONE GLOBALE

In questi stessi anni Tartarini cominciò a spingere Italjet Ben oltre il mercato italiano. Stabilì rotte di esportazione in Europa, Nord e Sud America e in alcune parti dell'Africa. Questa portata internazionale era insolita per l'epoca e può essere ricondotta direttamente alla fiducia e all'esperienza acquisite durante il suo giro del mondo. Poche aziende motociclistiche italiane dell'epoca ebbero il coraggio o la capacità di conquistare il mercato statunitense, e ancora meno ottennero un vero successo lì. A parte Italjet, solo Garelli, Benelli, Ducati e Parilla riuscirono ad avere un impatto notevole.

Ottenere un distributore dedicato in California è stato un risultato straordinario per un'azienda di appena cinque anni. Ha segnalato che Italjet non era semplicemente un piccolo produttore italiano, ma un marchio con ambizioni globali.

Questo periodo segnò anche l'inizio dell'era più creativamente intensa di Tartarini. I modelli che alla fine raggiunsero la produzione in serie erano solo una frazione di ciò che veniva sviluppato all'interno della sua piccola ma instancabile unità di ricerca e sviluppo. In realtà, quel "reparto" era composto quasi interamente da Tartarini stesso.elf, supportato solo da una manciata di collaboratori fidati, lavorando con un'energia e un ritmo che definirebbero Italjetl'identità di per gli anni a venire.

IL VAMPIRE 60 E IL SALTO NEL TERRITORIO DELLE MOTO DI GRAN LUNGA

Alla fine del 1965 Italjet ha introdotto il Vampiro 60, una macchina creata appositamente per la nuova categoria Cadet, la categoria di velocità. Ancora una volta Tartarini anticipò il mercato, elevando lo standard stilistico e tecnico. La Vampire era una sorprendente combinazione di leggerezza e prestazioni, resa ancora più distintiva dalla sua livrea gialla e rossa. In pista dimostrò subito il suo valore, sbaragliando ogni rivale fin dalla sua prima gara.

Ma la creatività di Tartarini non si limitò ai veicoli di piccola cilindrata. Continuò a lavorare su tutto lo spettro, dai ciclomotori alle motociclette ad alte prestazioni. Nello stesso anno, al Salone dell'Auto di Milano, presentò la Grifo 500, alimentata da un motore Triumph inglese.

Per una giovane azienda che in precedenza si era concentrata principalmente su macchine leggere, la Grifo 500 ha rappresentato un passo audace e senza precedenti. Italjet Si ritrovò improvvisamente a competere nel mondo delle motociclette di grossa cilindrata con i più prestigiosi produttori britannici dell'epoca. Ancora più notevole fu il fatto che Triumph accettò di fornire i motori, cosa che non aveva mai preso in considerazione per nessun produttore esterno.

La Grifo 500 ha segnato un nuovo livello di ambizione. Italjet non era più solo un piccolo innovatore nel settore dei ciclomotori. Era uno sfidante disposto ad affrontare a testa alta i giganti affermati.

NEGOZIARE CON TRIUMPH E LA POTENZA DELLA VISIONE DI TARTARINI

La partnership con Triumph è stata rivelatrice di dettagli. Nella corrispondenza originale tra le due aziende, si trovano richieste scritte da parte di Triumph che insistevano affinché tutto il marchio Triumph venisse rimosso dai motori forniti a ItaljetEra come se l'azienda britannica non volesse che il suo prestigioso nome fosse associato a quello che considerava un piccolo e imprevedibile produttore italiano.

Ciò non fa che evidenziare la straordinaria determinazione alla base dell'approccio di Tartarini. Il suo mix di sicurezza, nervosismo strategico e quella che molti hanno descritto come una sorta di "lucida follia" ha raggiunto l'apice durante queste trattative. Le stesse lettere lo mostrano confermare i piani di produzione per migliaia di unità, cifre che superavano di gran lunga la reale capacità produttiva, la rete commerciale o la struttura di servizio. Italjet che aveva all'epoca. Eppure l'audacia ha funzionato.

Triumph, che già iniziava a sentire la pressione della concorrenza giapponese in rapida ascesa, accettò la collaborazione. Tartarini era riuscito a sfondare le difese di un'orgogliosa industria britannica in un momento di vulnerabilità, assicurandosi motori che nessun altro estraneo era mai riuscito a ottenere.

Questo episodio rappresenta una delle dimostrazioni più eclatanti della capacità di Tartarini di modificare le circostanze attraverso la pura convinzione e la lungimiranza.

IL PROGETTO ARIEL E UN ALTRO PASSO NELL'INDUSTRIA BRITANNICA

Durante questo periodo ItaljetIl rapporto con i costruttori britannici continuò a crescere. La collaborazione con il gruppo Triumph–Ariel–BSA portò allo sviluppo di una motocicletta da 160 cc con il Ariel nome e motorizzata con un motore Minarelli. Sebbene il progetto avesse raggiunto la fase di prototipo, conflitti interni al gruppo britannico ne impedirono il passaggio alla produzione in serie.

Anche così, il tentativo suoelf fu significativo. Tartarini si trovò ancora una volta a operare in anticipo rispetto al settore. Come progettista e costruttore, fu uno dei primi italiani a stringere partnership concrete con importanti marchi britannici. Il progetto Ariel, pur non essendo stato ultimato, confermò il suo ruolo di pioniere, disposto a esplorare alleanze laddove altri vedevano solo ostacoli.

ABBATTERE LE BARRIERE NELLE COLLABORAZIONI DELL'EUROPA ORIENTALE

Nel mezzo dell'intensa attività del 1965, Italjet ha ottenuto un altro importante accordo internazionale, questa volta con Jawa–CZ per la fornitura di motori di diverse cilindrate. La partnership con MZ ha giocato un ruolo cruciale, conferendo credibilità a Tartarini e dimostrando la sua capacità di superare con successo le barriere commerciali tra Europa occidentale e orientale.

Ancora una volta, Tartarini riuscì a penetrare mercati solitamente chiusi ai marchi stranieri. Il rapporto con Jawa–CZ si rivelò altamente produttivo e continuò per diversi anni. Verso la fine degli anni '60, tra il 1969 e il 1971, Tartarini ampliò ulteriormente questa collaborazione diventando l'importatore ufficiale per l'Italia della gamma motocross CZ, una linea di motociclette che aveva ottenuto innumerevoli vittorie a livello internazionale.

Questo periodo ha rafforzato Italjetla reputazione di azienda in grado di operare oltre confini politici e industriali che la maggior parte dei produttori non ha mai tentato di oltrepassare.

LA PROTOTIPAZIONE PER ALTRI MARCHI E L'ASCESA DI TARTARINI COME DESIGNER

Nel 1966 Italjet Ampliò le sue attività offrendo servizi di prototipazione, industrializzazione e assemblaggio completo di motociclette a costruttori esterni. Negli anni successivi l'azienda firmò accordi con Mi-Val, Vi-Vi e, soprattutto, Ducati, con cui Tartarini aveva mantenuto ottimi rapporti fin dai tempi delle corse.

Nella seconda metà degli anni '70 questa collaborazione divenne particolarmente significativa. L'influenza di Tartarini nel design divenne così forte che spesso veniva definito un Stilista DucatiHa svolto un ruolo fondamentale nel trasformare modelli che avevano faticato ad attrarre l'interesse del pubblico, come la gamma di motori bicilindrici paralleli e la 860 GT, conferendo loro un'identità più desiderabile e moderna.

Il suo successo in questo campo consolidò la sua reputazione di uno dei progettisti di motociclette più capaci e fantasiosi d'Italia. Italjet non era più solo un produttore; era diventata una forza creativa che plasmava l'aspetto e il fascino delle motociclette ben oltre la sua linea di produzione.

LA RIVOLUZIONE DELLE RUOTE BASSE E UNA NUOVA IDEA DI LIBERTÀ

Nel 1967 Italjet ha rimodellato ancora una volta il mercato con il lancio della sua linea di ciclomotori a ruota bassa: il Go Go, Esploratore E Guardia forestaleL'innovazione non fu solo tecnica, ma anche culturale. Questi modelli ridefinirono il ciclomotore, rendendolo più di un semplice mezzo di trasporto o di un mezzo da corsa. Divennero simboli di svago, indipendenza e libertà personale, rispecchiando lo spirito della rivoluzione giovanile che stava travolgendo l'Italia e gran parte del mondo.

Il telaio a culla rialzato è rimasto un segno distintivo Italjet elemento, quasi un marchio di fabbrica dell'azienda. Ma la caratteristica distintiva, soprattutto sulla Gò Gò, era il posizionamento non convenzionale del serbatoio del carburante. Posizionato molto in avanti, lasciava completamente aperto lo spazio tra le gambe del pilota, simile a quello di uno scooter, e avvolgeva il suoelf attorno al cannotto di sterzo. Il design era insolito, giocoso e immediatamente riconoscibile.

Ad aggiungerne il fascino sono i due grandi “occhi da cartone animato” sulla parte anteriore, ispirati alla grafica del casco del leggendario pilota. Renzo PasoliniLa combinazione di creatività, carattere e divertimento accessibile ha conquistato i giovani motociclisti. Il Gò Gò è diventato un grande successo commerciale non solo in Italia, ma anche sui mercati internazionali.

UN NUOVO NOME, UNA PORTATA PIÙ AMPIA E UN'ESPLOSIONE DI IDEE

COME ItaljetLe esportazioni continuarono ad aumentare in tutta Europa e oltre, e l'azienda iniziò ad adottare diversi marchi per i vari mercati, per gestire la distribuzione e le normative locali. Tarbo è stato utilizzato in Francia, Roma negli Stati Uniti e Italiano nell'Europa settentrionale. Questa strategia ha permesso Italjet operare con più linee di produzione e collaborare con distributori dedicati in ogni regione.

A questo punto il rapporto di lunga data con MZ era giunto al termine. Nel 1967 l'azienda adottò ufficialmente il nome Italjet, segnando una nuova era di identità e ambizione. Nello stesso periodo, Gianni Cinelli si è unito all'azienda. Collaboratore dotato e fidato, è diventato responsabile della gestione tecnica in tutta Italjetil reparto sperimentale, le attività agonistiche e il supporto tecnico necessario ai numerosi marchi che l'azienda ha importato nel corso degli anni.

La fantasia di Tartarini, tuttavia, non si fermò mai. Nel 1968 Italjet ha introdotto il suo primo ciclomotore pieghevole, il Kit-Kat, rivolto a una nicchia ben precisa: i motociclisti che necessitavano di un mezzo di trasporto secondario da affiancare a un altro mezzo di trasporto. Il Kit-Kat era estremamente compatto, dotato di minuscole ruote da 5 pollici e progettato in modo che manubrio e sella si ripiegassero ordinatamente in una borsa per il trasporto personalizzata. Poteva essere riposto nel bagagliaio di un'auto, all'interno di un camper, portato a bordo di una barca o persino trasportato in treno.

Che Tartarini abbia inventato o meno questo tipo di veicolo non è il punto centrale. Ciò che conta è che sia stato il primo in Italia a trasformare il concetto in un vero e proprio prodotto industriale e a renderlo ampiamente accessibile.

Quello stesso anno ha dimostrato Italjetla straordinaria portata. Insieme al piccolo Kit-Kat, l'azienda ha lanciato anche il Grifone Superbike, spinta dallo stesso motore Triumph 650 utilizzato nella leggendaria Bonneville. Con questo modello Tartarini abbracciò il tipo di sfida che amava fin dai tempi delle corse: una piccola casa automobilistica italiana che sfidava i giganti di Italia, Giappone, Gran Bretagna e Germania.

L'originalità del Grifon derivava da Italjetflessibilità. A differenza dei grandi produttori, Italjet Tartarini offriva un approccio personalizzato, creando macchine con motori britannici, componenti italiani e telai su misura, adattabili alle esigenze specifiche dei singoli clienti. Un modo di fare audace, distintivo e inconfondibilmente Tartarini.

FORZE E LIMITI DEL GRIFFONE

Il telaio della Grifon era eccezionale, di gran lunga superiore a quello di molti dei suoi rivali e rifletteva chiaramente ItaljetL'esperienza progettuale di. Purtroppo, lo stesso non si poteva dire del suo motore. Nonostante la prestigiosa tradizione Triumph, il bicilindrico 650 stava iniziando a mostrare i segni del tempo e non era più in grado di tenere il passo con la tecnologia dei nuovi concorrenti internazionali.

Il risultato fu una motocicletta dalla maneggevolezza impeccabile, leggera e agile, con un'identità visiva sorprendente, ma con un peso meccanico limitato. I numeri di produzione erano limitati, il che rendeva il prezzo al dettaglio più alto rispetto ai modelli prodotti in serie da case automobilistiche più grandi.

Nei prossimi anni Italjet introdusse diversi aggiornamenti stilistici alla Grifon, tra cui versioni adattate al gusto americano. Ciononostante, l'eredità del modello rimane forte. Rimane un traguardo ineguagliato da qualsiasi altra piccola casa motociclistica italiana dell'epoca, e pose la Grifon al di sopra della maggior parte dei suoi diretti concorrenti sia per ambizione che per carattere.

LA PARTNERSHIP CON FLOYD CLYMER E IL PROGETTO INDIANO

Nel 1968 Italjet è entrato in un altro ambizioso capitolo attraverso una collaborazione con Floyd Clymer per la produzione di motociclette che trasportano la indiano marchio, destinato esclusivamente al mercato americano. Clymer era una figura ben nota nel U.S. mondo motociclistico: ex stella delle corse degli anni '20, in seguito concessionario per Harley-Davidson e Indian, e infine editore di Ciclo, la rivista motociclistica più influente degli Stati Uniti.

La portata del progetto era all'altezza delle dimensioni del mercato americano. Clymer condivideva lo stesso spirito audace e anticonformista di Tartarini, ma spesso si spingeva avanti con un entusiasmo che superava le sue possibilità finanziarie e materiali. Prima di avvicinarsi Italjet Aveva tentato una partnership con l'ingegnere tedesco Friedel Münch, importando le motociclette Mammut alimentate dai motori delle automobili NSU. Quando divenne chiaro che non poteva sostenere quell'impresa, guardò altrove.

Dopo aver visto Italjetal Salone di Milano, Clymer riconobbe in Tartarini il partner ideale per questo nuovo capitolo della storia indiana. ItaljetLa creatività, la flessibilità e la volontà di affrontare sfide audaci hanno reso possibile la collaborazione e hanno posto le basi per un esperimento importante, seppur turbolento, di rilancio di un leggendario marchio americano.

MINIMOTO, MAXIMOTO E UN'ONDATA DI PROTOTIPI

Negli anni successivi, Tartarini produsse un'ampia gamma di modelli per Floyd Clymer, dalle minimoto alle moto di grossa cilindrata. Le maximoto erano equipaggiate con Velocette 500 E Royal Enfield 750 motori e Italjet ha inoltre sviluppato una serie impressionante di prototipi dotati di motori di Norton E Horex.

Nonostante l'ambiziosa portata dei modelli più grandi, furono le minimoto a ottenere un immediato e significativo successo commerciale. Catturarono lo spirito del mercato americano e divennero il risultato più riconoscibile della collaborazione. Le maximoto, d'altro canto, incontrarono diverse sfide tecniche e logistiche e furono infine prodotte in quantità molto limitate.

Tuttavia, questo periodo ha dimostrato Italjetla straordinaria versatilità, in grado di progettare di tutto, dalle macchine compatte e divertenti alle speciali ad alta capacità dotate di motori di alcuni dei marchi più prestigiosi della Gran Bretagna.

LA FINE DELL'ERA CLYMER E IL SUCCESSO DELLE MINIMOTO

La morte improvvisa di Clymer all'inizio degli anni '70 segnò un brusco cambiamento nella direzione della partnership. Coloro che rilevarono la sua attività bloccarono immediatamente tutti i progetti per motociclette di grossa cilindrata, chiudendo la porta ai progetti più ambiziosi che prevedevano l'impiego di grandi motori britannici.

Le minimoto, tuttavia, continuarono a prosperare. Le vendite rimasero forti fino alla metà degli anni Settanta, sostenute da ItaljetL'approccio innovativo di al packaging. Le motociclette venivano spedite in contenitori interamente stampati in polistirolo, una soluzione lungimirante che riduceva i danni durante il trasporto, semplificava la logistica e contribuiva a mantenere elevata la domanda nel mercato americano.

Questo periodo ha segnato la fine di un capitolo ma ha confermato il solido successo di Italjetmodelli più piccoli all'estero.

SPECIALI DA CORSA, NUOVI SEGMENTI E INNOVAZIONI INSOLITE

Tornato in Italia, Italjet ha iniziato a produrre modelli in serie limitata progettati esclusivamente per le competizioni fuoristrada. Tra questi c'era il Piranha 50, Cross Casa 50–60 E Zorro 175, macchine note per l'elevato livello di finitura e le elevate prestazioni. Lo Zorro ha ottenuto una particolare visibilità grazie a Paola Dolci, che corse nel Lazio e divenne una delle pochissime donne nel motocross dell'epoca a ottenere risultati degni di nota.

Tartarini ha esplorato anche il mercato delle medie cilindrate con modelli alimentati dal Jawa 350 motore bicilindrico, in espansione Italjetla presenza di in un segmento che va oltre i suoi soliti interessi.

Altrettanto non convenzionale era il suo lavoro su un Ski-Bob concetto, non legato al motociclismo ma comunque radicato nella velocità e nel controllo. Dotò il prototipo di un sistema di sospensione anteriore e di una carenatura aerodinamica, consentendo al team svizzero che commissionò il progetto di dominare ogni competizione a cui partecipò.

Questo periodo ha mostrato quanto ampiamente ItaljetL'ingegneria di Tartarini poteva spaziare dalle pure macchine da corsa fuoristrada alle attrezzature sperimentali per gli sport invernali, tutte guidate dalla costante ricerca di prestazioni e originalità da parte di Tartarini.

IL CENTRO VELOCITÀ E LA NASCITA DELLE LEGGENDE DEL MINI-CROSS

L'anno 1968 si chiuse con l'inaugurazione della Centro di velocità, che la rivista Motociclismo Descritto come "il paradiso dei motociclisti italiani". Ispirato a un concept americano e di natura prettamente commerciale, rappresentava una novità assoluta per l'Italia e probabilmente anche per l'Europa. Lo Speed ​​Center operava come un grande magazzino dedicato esclusivamente al motociclismo: moto di grossa cilindrata, moto da corsa, la più ampia selezione di accessori, ricambi specializzati e abbigliamento motociclistico. Più di mille articoli erano disponibili sotto lo stesso tetto. Il successo fu immediato, attraendo appassionati da tutto il Paese che percorrevano lunghe distanze per visitarlo e fare acquisti.

Nel 1969 Italjet rivelò un'altra idea rivoluzionaria: minimoto fuoristrada, una delle linee di prodotto più influenti nella storia dell'azienda. Originariamente equipaggiate con motori Franco Morini 50, queste bici erano progettate per bambini di tutte le età. Mini-Mini Bambino E Croce Junior furono i primi di una serie che sarebbe continuata per oltre tre decenni, con modelli dimensionati e progettati per accompagnare i giovani motociclisti dai cinque anni fino all'adolescenza.

La svolta fu semplice ma geniale. Non si trattava di giocattoli. Erano autentiche moto da cross in scala ridotta, che crescevano in dimensioni, prestazioni e capacità con lo sviluppo dei loro giovani piloti. Permisero ai bambini di imparare, progredire e competere, e divennero il punto di partenza per futuri campioni in diverse nazioni. I piloti che per primi gareggiarono su... Italjet Le Mini sarebbero poi diventate famose sia nel motocross che nelle corse su strada.

In questo settore Italjet ha ottenuto un riconoscimento globale ed è diventato il riconosciuto leader mondiale nella produzione di minimoto da competizione di alta qualità.

RECORD MONDIALI DI VELOCITÀ E PUBBLICITÀ NON CONVENZIONALE

A fine anno, sul circuito di Monza, Tartarini realizzò personalmente diversi Record mondiali di velocità utilizzando un'auto-ciclo a tre ruote di sua progettazione. La macchina era dotata di due ruote sterzanti nella parte anteriore e una ruota posteriore motrice, alimentata da un motore raffreddato a liquido CZ 250 motore. La forte pioggia gli ha impedito di completare l'intero programma di tentativi di record, ma i risultati ottenuti sono stati comunque significativi.

La scelta di competere in una categoria praticamente sconosciuta in Italia, e i cui record risalivano a molti anni fa nel Regno Unito, rifletteva la filosofia promozionale unica di Tartarini. Il suo obiettivo era sempre quello di generare il massimo impatto possibile con il minimo costo finanziario, utilizzando metodi audaci, non convenzionali e accattivanti anziché la pubblicità tradizionale.

Il tentativo di record di Monza incarnava perfettamente questo: un audace esperimento tecnico, un'acrobazia da prima pagina e una potente dichiarazione di Italjetla creatività e l'ambizione.

Pubblicità audace, nuove idee e nuove frontiere (1968-1970)

In questi anni Italjet ha spinto la sua immagine in modi nuovi e sorprendenti. La famosa campagna pubblicitaria che mostrava Italjet moto che “volavano” sopra la sagoma di una donna divenne uno dei più memorabili del motociclismo italiano. Allo stesso tempo, il Club Bielle Roventi ha creato un nuovo tipo di fidelizzazione al marchio, offrendo ai fan biglietti e gadget gratuiti semplicemente inviando un coupon. La risposta è stata così travolgente che Italjet alla fine ho dovuto chiedere alle persone di smettere di candidarsi.

Nel 1970 Italjet ha lanciato il Ossobuco serie, le prime moto "da divertimento" a ruota bassa industrializzate in Italia. A differenza delle economiche versioni americane, queste erano macchine ben fatte ed eleganti che riflettevano la convinzione di Tartarini che i prodotti a basso costo attirassero i problemi più gravi e i clienti più esigenti. La linea Ossobuco introdusse anche per la prima volta la sagomatura in poliuretano espanso su una motocicletta.

Italjet rimase attivo anche nelle corse, preparando due moto da Gran Premio: una CZ 250 macchina da record guidata da Gianni Ribuffo, e una Yamaha 125 gemella con cui Mario Lega ha corso nel Campionato Italiano Juniores.

La partnership con Yamaha e l'ascesa del Buccaneer (1970-1973)

Nel 1970 Italjet ha ottenuto una svolta importante diventando il importatore ufficiale e unico per Yamaha in Italia. L'accordo includeva l'intera gamma di prodotti e le moto da corsa per i clienti. Le normative italiane impedivano l'importazione di modelli di cilindrata inferiore a 350 cc, quindi Tartarini iniziò a produrre Italjet-motociclette con motore Yamaha. Per aggirare le restrizioni sull'importazione di motori dal Giappone, è stato creato un sistema ingegnoso: i motori venivano spediti a una filiale Yamaha in Turchia, parzialmente assemblati con telai e ruote, quindi importati in Italia e completamente ricostruiti su Italjetla linea di.

Collaborare con un produttore campione del mondo come Yamaha è stato un risultato importante in un periodo in cui le motociclette straniere faticavano ad affermarsi in Italia.

Mentre Italjet concentrandosi fortemente sulla commercializzazione della gamma Yamaha, la sua produzione ha continuato ad evolversi. Il nuovo modello di spicco è stato il bucaniere, presentata per la prima volta al Salone dell'Automobile di Milano del 1972 e lanciata l'anno successivo. Con il suo motore bicilindrico a due tempi, dominò immediatamente la categoria Junior, surclassando le rivali monocilindriche e costringendo i concorrenti a ripensare il loro approccio.

Il predominio dei Buccaneer e il passaggio all'off-road (1973-1978)

IL bucaniere entrò in competizione nel 1973 e rimodellò immediatamente la categoria Junior 125. Aermacchi, fino ad allora la forza indiscussa, era improvvisamente superata. Italjet vinse per tre anni consecutivi (1973-1975) il Campionato Italiano Juniores 125 con Marino Maspes, Domenico Battilani e Giorgio Avveduti, portando sul podio anche molti piloti indipendenti. ItaljetL'approccio era semplice: venivano prodotte solo quattro moto ufficiali di fabbrica ogni stagione, mentre i piloti privati ​​potevano acquistare tutte le parti necessarie direttamente da Italjet per 200.000 lire, mantenendo la rete piena e il marchio dominante.

La Buccaneer stradale ha continuato a evolversi con nuovi aggiornamenti tecnici che l'hanno mantenuta al vertice della sua categoria. Il suo successo è durato otto anni, interrompendosi non a causa di punti deboli del modello, ma perché i giovani motociclisti della fine degli anni '70 hanno spostato il loro interesse verso le moto fuoristrada. Ciononostante, la Buccaneer rimane la moto di maggior successo. Italjet motocicletta di quell'epoca.

Dopo la fine della partnership con Yamaha, Tartarini si mosse rapidamente per assicurarsi un nuovo alleato commerciale. Nel 1977 firmò un accordo con Bultaco per importare e distribuire le proprie moto da fuoristrada in Italia, riconoscendo l'evoluzione del mercato e non perdendosi la crescente tendenza del fuoristrada. Per gestire questa nuova iniziativa, è stata creata una società dedicata: Sun International.

Pack-A-Way, nuovi modelli sperimentali e ItaljetL'ingresso di 's nei processi (1978-1982)

Nel 1978 Italjet ha lanciato il Pack-A-Way, un ciclomotore pieghevole a ruote basse ispirato al precedente Kit-Kat ma costruito attorno a un telaio a trave centrale che fungeva anche da serbatoio del carburante. Rivestito da un'unica carrozzeria in poliuretano nero opaco, riprendeva i temi della linea Ossobuco ed era così innovativo che nel 1980 entrò a far parte della collezione permanente del Museo d'Arte di New York. Museo d'arte moderna (MoMA).

Il modello si è evoluto nel Pacchetto 2 nel 1982, utilizzando la meccanica del Piaggio Ciao. Questa fu una pietra miliare importante: Piaggio non aveva mai fornito motori a nessun altro produttore. Il Pack divenne rapidamente popolare tra i proprietari di barche e fu persino fornito di serie su alcune imbarcazioni. Rimase in Italjetcatalogo fino alla metà degli anni '90.

Utilizzando la meccanica della Piaggio Ape, Tartarini creò poi il Guardia forestale, un triciclo con due grandi ruote motrici posteriori e una parte anteriore leggera - il primo veicolo del suo genere mai commercializzato in Italia. Un seguito a due ruote, il Skipper, arrivò poco dopo con un motore Honda Italia 125 a quattro tempi, dimostrando ancora una volta che anche il più grande produttore mondiale si fidava Italjet con prodotti di nicchia che non erano in concorrenza con la propria gamma.

Molte di queste idee non convenzionali traevano ispirazione da concept giapponesi. Dalla fine degli anni '60, Tartarini visitò regolarmente il Salone dell'Automobile di Tokyo e studiò attentamente le pubblicazioni giapponesi, rielaborando quelle idee attraverso la sua sensibilità progettuale per creare veicoli unici per il mercato italiano.

Entro il 1979 ItaljetL'attenzione di includeva anche il supporto tecnico per Bultaco, che era fortemente coinvolta nelle gare di trial. Quando la Bultaco fallì l'anno successivo, Italjet il tecnico Gianni Cinelli ricostruì la famosa bici da corsa campione del mondo di Bernie Schreiber ha danneggiato la bici durante la notte durante un evento di due giorni in Italia, permettendogli di vincere il secondo giorno. Con la Bultaco fuori, Schreiber ha chiesto di correre per ItaljetNonostante non avesse ancora una moto da trial pronta, Tartarini decise nel giro di pochi giorni di iscriversi Campionato mondiale di trial, lavorando con l'ex tecnico da corsa della Bultaco Manuel Marqués. Il pilota italiano Ettore Baldini si è unito come secondo pilota ufficiale.

La mossa ha garantito un futuro ai clienti Bultaco e ha segnato Italjetl'ingresso ufficiale nella competizione di trial a livello mondiale.

ItaljetLa svolta nelle prove e i suoi primi motori interni (1980-1981)

Il primo Italjet Il prototipo da trial fu costruito in poche settimane, utilizzando un telaio ispirato alla Bultaco e un motore ibrido sperimentale che combinava componenti di alta gamma Bultaco con un cambio Ducati Scrambler 125. Il suo debutto in Svizzera fu difficile, con Schreiber e Baldini che non rispettarono il limite di tempo su un percorso eccessivamente veloce, ma i risultati arrivarono rapidamente. Nella seconda metà della stagione la moto vinse il Due Giorni Internazionale di Pinerolo, l'ultimo quattro round del campionato del mondo, E due eventi del Campionato Italiano. Italjet ha concluso l'anno come Secondo classificato al campionato mondiale con Schreiber e Secondo classificato Senior Italiano con Baldini, un risultato notevole considerando che il progetto era partito da zero a metà stagione.

L'anno seguente Italjet è entrato ufficialmente nel mercato delle prove, producendo il suo primi motori interni nelle cilindrate 250 e 350 cc. Le moto ottennero un successo immediato grazie alle prestazioni di Schreiber e Baldini. Il nuovo motore, sviluppato da Renzo Nieri sotto la direzione di Tartarini, presentava un concetto ingegnoso: un unico progetto di base in grado di accogliere sia due tempi o quattro tempi gruppi di fascia alta, con opzioni di raffreddamento sia ad aria che a liquido. Ciò consentirebbe Italjet per ampliare la gamma con modelli stradali o fuoristrada senza dover realizzare progetti di motori completamente separati.

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Crescita nelle prove e arrivo del Tiffany (inizio anni '80-1984)

Crescita nelle prove e arrivo del Tiffany (inizio anni '80-1984)

Italjet ha proseguito il suo programma di prove competitive negli anni successivi, gareggiando nel Campionato del Mondo e nelle categorie italiane Senior, Junior e Cadetti, mantenendo una forte presenza a tutti i livelli.

Nel 1984 l'azienda ha introdotto il Tiffany, un ciclomotore a ruote alte distribuito da Yamaha Europe e alimentato dalla stessa meccanica Piaggio Ciao utilizzata nel Pack. Ispirato alle motociclette del dopoguerra, il marchio Tiffany Italjetil primo ritorno deliberato allo stile retrò. Questa direzione si sarebbe presto rivelata ancora più vincente con il lancio dell'iconico Velocifero scooter nel decennio successivo.

L'era dello scooter e il ritorno del Grifon (1988-1999)

Nel 1988 Italjet entrò in una nuova era con il lancio della sua gamma di scooter, un periodo che avrebbe definito il marchio attraverso i modelli Velocifero, Formula, Dragster e Torpedo. Queste macchine continuarono Italjet al centro della scena fino ai primi anni del 2000, unendo un design audace all'inconfondibile carattere italiano.

Ma la passione di Tartarini per le motociclette non si è mai spenta. Al Salone dell'automobile di Milano del 1999 ha presentato la Grifon 900, una sorprendente naked motorizzata da un motore Triumph a tre cilindri. Pubblico e stampa accolsero con entusiasmo unanime. Fu un altro classico momento Tartarini: design audace, un concept audace e, ancora una volta, la proficua collaborazione di un prestigioso produttore britannico sulla cresta dell'onda.

E-Bike, innovazione moderna e il ritorno globale del Dragster (anni 2010-oggi)

Nell'ultimo decennio Italjet è stata una delle prime aziende motociclistiche ad abbracciare l'ascesa del bici elettrica, lanciando un'elegante gamma in stile vintage che è stata esportata in tutto il mondo. Oggi Italjet rimane uno dei pochissimi produttori di motociclette ancora di proprietà e guidato dalla famiglia fondatrice, con lo stesso DNA, la stessa mentalità anticonformista e la stessa spinta all'innovazione che Leopoldo Tartarini ha saputo trasmettere fin dal primo giorno.

Attraverso importanti investimenti nella ricerca & Sviluppo: l'azienda continua a puntare sulla qualità totale e su soluzioni ingegneristiche originali. Italjet progetta prodotti che non solo soddisfano la domanda, ma suscitano nuovi desideri in un mondo in cui i motociclisti danno sempre più valore all'emozione, al design e all'identità.

Dalla sua base a Castel Guelfo, appena fuori Bologna, il Italjet marketing e R&I team D continuano a dare forma a idee che influenzano il panorama motociclistico internazionale. La creatività di oggi si collega perfettamente al passato del marchio: audace, tecnica, artistica e inconfondibilmente Italjet.

Un traguardo importante è stato raggiunto 2018 con il rilancio del DragsterIl prototipo presentato all'EICMA 2018 è diventato un fenomeno globale immediato, seguito da migliaia di prenotazioni in vista del modello di produzione finale nel 2019. Dalla sua rinascita, il Dragster è cresciuto fino a diventare Italjeticona moderna e ora è venduto in oltre 50 paesi in tutto il mondo, riaffermando la reputazione del marchio nel produrre vere e proprie “opere d’arte su due ruote”.